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Non c'è giorno che le nostre cassette della posta non siano invase da nugoli di dépliants, brochures, bollettini: sono le organizzazioni umanitarie che, con appelli disperati e immagini devastanti, chiedono donazioni con toni a volte moralmente ricattatori. C'è chi strappa senza scrupoli e chi invia qualche euro tanto per sentirsi con la coscienza tranquilla. Ma c'è una larga fascia di società che da questo "grido" viene turbata con veri e propri complessi di colpa e tenta di farsi carico del disagio sociale di una grande fetta d'umanità, e pur con tanti interrogativi: dare? Perché dare? Quanto è giusto dare? Perché questi paesi sono poveri rispetto a un Occidente "brutto, sporco e cattivo"? Perché la nostra storia e la loro è così diversa? Così non cestini il conto corrente e corri allo sportello postale e ti chiedi: perché mille famiglie detengono un reddito sufficiente a sfamare un miliardo di persone? Ecco, questo è il dramma, la domanda, la confessione dell'autore, di "Tutti chiedono 1 euro". Ed il percorso di tutti quelli che, superato un senso di fastidio, stendono poi la mano verso chi chiede.